1669, Nicola Martini
07.02.2024 – 28.03.2024
Clima
Via Lazzaro Palazzi, 3, Milano
1669 è il nuovo progetto scultoreo di Nicola Martini presentato e realizzato appositamente per gli
spazi di Clima, Milano.
La data-titolo si riferisce all’anno della grande eruzione del vulcano Etna che portò alla distruzione e al seppellimento della maggior parte dei paesi etnei fino ad arrivare alla periferia occidentale della città di Catania.
L’artista per l’occasione lavora con scorzoni naturali di basalto estratti dalla cava situata nell’odierna Belpasso, ricostruita sulle ceneri dell’antica Malpasso sepolta dell’eruzione suddetta.
Le sculture presenti in mostra sono caratterizzate da innesti di poliuretano ad espansione che
abbracciano la struttura del basalto lavico. Il poliuretano così esposto a i raggi UV inizia il suo
lento processo di degrado per fotodeperibilità.
Le opere si caratterizzano così come amplificatori di contrasti; pesi, densità e origine della materia risultano agli antipodi, due polarità che convivono in un “oggetto” ibrido, imprendibile.
L’unione di due materie vive che fanno saltare in aria la distinzione fra naturale e culturale in un
continuo bilancio poetico fra realtà e interpretazione.
spazi di Clima, Milano.
La data-titolo si riferisce all’anno della grande eruzione del vulcano Etna che portò alla distruzione e al seppellimento della maggior parte dei paesi etnei fino ad arrivare alla periferia occidentale della città di Catania.
L’artista per l’occasione lavora con scorzoni naturali di basalto estratti dalla cava situata nell’odierna Belpasso, ricostruita sulle ceneri dell’antica Malpasso sepolta dell’eruzione suddetta.
Le sculture presenti in mostra sono caratterizzate da innesti di poliuretano ad espansione che
abbracciano la struttura del basalto lavico. Il poliuretano così esposto a i raggi UV inizia il suo
lento processo di degrado per fotodeperibilità.
Le opere si caratterizzano così come amplificatori di contrasti; pesi, densità e origine della materia risultano agli antipodi, due polarità che convivono in un “oggetto” ibrido, imprendibile.
L’unione di due materie vive che fanno saltare in aria la distinzione fra naturale e culturale in un
continuo bilancio poetico fra realtà e interpretazione.